MEDEO
meglio essere una pecora nera che una pecora e basta

Mi decido a rispondere dopo molte incerte avventure mediatiche sono alle prime armi con questa tastiera e la fedele olivetti 22 mi guarda dall’altra parte del tavolo ancora di salvezza…. dunque volete un mio sguardo, ci provo anche se in genere cerco di non dare pareri, dire questo si questo no, subito. aspetto almeno una seconda occasione di conoscenza, solo qualche volta, raramente, m’imbatto in un SI immediato, e raramente poi quel si diventa un NO. nel caso del vostro lavoro ammetto il colpo di fulmine non c’è stato, l’ho capito e apprezzato diciamo al 40%… e in quel 40 ho ritrovato certe sorprese dei primi spettacoli della Raffaello quel misto di rabbiosa ironia e di immaginario deformato, di mitologie,anzi di aborti mitologici direbbe Savinio bizzarri… mi hanno stancato invece quei tempi lunghi di auto esposizione e tutto il lato di denuncia politica agitprop mi sembra peccare di estremismo infantile non mi aiuta a ragionare a cambiare le mie opinioni e non mi indigna non mi colpisce allo stomaco insomma solo a davide è capitato di abbattere Golia con un colpo di fionda… spero comunque di rivedere queste prime impressioni, questo non è che il debutto… buon lavoro

nicogarrone
(mail  5/12/2007)

Esposizioni per emblemi: serialità e rarefazioni in MeDeo.

 

Il prologo di “MeDeo” è un bell’invito: nel buio, frasi asciutte proiettate con caratteri grandi. L’impatto dell’incipit è incredibile: agisce come una cantilena dimenticata, diventa come un calco: imprime domande, pensieri, contesti, e, soprattutto, un gusto inquieto e irrisorio insieme. Accompagna dentro al terrificante: “tutti gli assassini vedono rosa nel futuro/fa parte del mestiere”.
Ma questa qualità del terrificante si distacca subito dalla materia viva, incandescente di cui può essere composto uno spettacolo intorno a un tema del genere, la strage familiare e tutte le sue possibili prospettive: i movimenti, con equilibrio modulare e ben calibrati, insieme alla composizione estremamente curata delle immagini, lasciano poco spazio al corto circuito, alla concretezza di una follia che si esprimerebbe ancora più efficacemente nello stravolgimento emotivo, in un andamento intermittente, in contrapposizioni più coraggiosamente immediate.
Lo spettacolo, fra tante immagini efficaci – quasi emblemi – e alcuni momenti di inquietudine vera, si mostra più come un’esposizione, certo ricca ed ipertestuale, che uno sviluppo, più come distacco che innesto, più come approccio al gesto tragico, che un confronto o uno sprofondamento in esso.
Le parole dell’introduzione, con il loro andamento agghiacciante, restano impresse nella mente dello spettatore, tornano e scavano, ma agiscono come sospese in un ricordo, alimentando l’invocazione di affondo che emerge, a tratti, in diversi punti della performance, laddove rarefazione ed ermetismo portano lo sguardo a focalizzarsi più sulla meticolosa costruzione delle visioni che ai rapporti esplosivi che potrebbero nascere fra di esse.

 

(Roberta Ferraresi, ubublog.splinder.com, 11 novembre 2007)

I drammi familiari all’epoca di Youtube

 

Quotidiana.com medita sul passato classico e dalla penna acuta di Paola Vannoni “nasce” un testo drammaturgico, uno spettacolo teatrale (andato in scena al Lavatoio venerdì e sabato scorsi), un pensiero da scrivere.
Sembrerà un gioco di parole ma “MeDeo”, una sorta di riscrittura della tragedia euripidea, segna un bel passo: quotidiana.com, come nel teatro “antico” (IV a C.), parla, nella quotidianità, di quotidianità. Ergo: di drammi familiari. Ma se lì, all’epoca della Grecia bella e antiqua, Medea uccideva i figli per assicurarsi che Giasone non avesse discendenza (e poi conduce via i corpi senza vita dei pargoli sul carro del sole), qui la tragedia si inverte: è l’uomo che uccide i figli.
Spazi profondi (il Lavatoio concede molto), scena quasi minimalista, sormontata da un pannello. E lì sta, nel senso statico della parola, il tricolore italiano, antico pezzo di stoffa che unisce, oggi semplice lavagna su cui far andare le immagini della quotidianità.
Così Berlusconi, qualche 144, donnine ignude che propongono telefonate erotiche, immagini di piazze, i video – quelli che tutti hanno visionato su youtube.com – dei ragazzi che beffeggiano gli insegnanti, una toccata di sedere, poi paesaggi, scene di ordinaria follia.
Mameli intanto va, e canta, e riempie la sala. C’è commozione, ma allo stesso tempo riflessione. E una dilatazione del dio-fallo, la fallacità della società contemporanea, che brucia e consuma, avida di sesso e di chirurgia, ogni centimetro di silicone.
Così i seni rifatti, un fallo-totem, gigantesco, cervello dell’uomo del terzo millennio, sbandierato come una proboscide, guardato, deriso e rassegnato da una bambola di gomma (Paola Vannoni), che accetta, silente e priva di sussulti, le lussurie dell’uomo-feticcio della Riviera (Roberto Scappin).
La realtà – o almeno: quella che arriva – è questa: violenza e vivisezione, sesso a pagamento, donne che subiscono, uomini annoiati che uccidono i figli, i deliri di onnipotenza del maschio che ha perso il suo ruolo sociale e che, come in Euripide, uccide la prole. Ma se allora era un gesto di ribellione, qui diventa un attimo di normalità. E fa più male, perché è gratuità.

 

(Alessandro Carli, La Voce di Romagna, 15 maggio 2007)