Monopolista

Ma che politica e politica: potere al pop!!

[…] Allora, se di politica dobbiamo dire, è politicissimo ad esempio il Monopolista, di Quotidiana.com (visto a Milano al PimOff) e anche qui non perchè parlano di acqua pubblica o privata quando nella finzione finiscono sulla casella di Società acqua potabile, ma perchè costruiscono un ragionamento attorno alla rappresentazione della realtà nella dinamica ludica e nell’abbattimento della membrana che divide gioco dalla realtà.

Anzi, sempre più spesso quando gioco sono correttissimo e rispetto le regole, conto le caselle, mi accanisco perchè tutti paghino fino all’ultimo, poi nel quotidiano va benissimo che la logica sopraffattoria e accumulativa, feroce e spietata con cui devo arrivare a conquistare il mondo, in Monopoli o Risiko, diventi la regola nel vivere civile, quotidiano, l’approccio deresponsabilizzato e deresponsabilizzante per cui va bene qualunque cosa.

E penso che questa riflessione che loro fanno spieghi poi il tema del pensiero debole, ma non rassegnato, che sta dietro la loro filosofia. Come a dire: so che sono minoranza, che la tutela del mio sistema valoriale è in alto nel mio personale agire quotidiano, so che sono debole e che perderò la partita, perché dall’altro lato ho Google, Facebook, la potenza miliardaria di oligopolisti e monopolisti che detengono il potere. Che senso ho? Che senso ha quello che faccio, io cittadino dotato di una morale?

Monopolista è peraltro portato avanti con una gustosissima attoralità, per cui sai bene che non stanno giocando veramente, ma loro fingono di sì, e su questa finzione si regge la maggior parte del concetto dello spettacolo. E’ politico interrogarsi su che senso abbia agire i propri valori in una società in cui uscirai sempre sconfitto?

 

(Renzo Francabandera, Paneacqua Culture, 4 marzo 2018)

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MONOPOLISTA  (PimOFF 21 gennaio 2018)

E’ possibile appassionarsi facendo da spettatori a una partita di Monopoli? La risposta è sì, se a sfidarsi sono Roberto Scappin e Paola Vannoni.
Quotidiana.com porta anche a Milano, al Teatro PimOff, “Monopolista” spettacolo didascalico che presenta uno dei giochi in scatola più famosi del mondo come lezione di vita. Sul palco i due attori in camicia e bretelle, una lampada, un tavolo e lui, il Monopoli che, da semplice passatempo, diventa metafora esistenziale dove non c’è spazio per la carità, l’unico scopo è arricchirsi seguendo rigidamente la regola delle tre S: sfida, spietatezza, sopraffazione.
Scappin e Vannoni ci parlano con fare sornione, le loro voci ovattate risultano fondamentali per guidare lo spettatore in un nuovo mondo, dove l’obiettivo è vivere a Parco della Vittoria, non certo a Vicolo Corto. Una partita di poco meno di un’ora con i due attori che si sfidano a colpi di dadi e di battute, perfettamente complementari e opposti tra loro. Toni surreali, humor nero e tanti excursus rivolti al pubblico compresi viaggi mentali all’Overlook Hotel, dove è ambientato Shining di Stephen King, e storielle con protagoniste le pedine del gioco.
Si sorride viaggiando tra le strade del monopoli, immaginandosi in corso Ateneo piena di bar per universitari e copisterie, in via Accademia chiusa per lavori e abbandonata dai negozianti, a parte un sexy shop, o in vicolo Corto, la zona pulp della città dove bisogna stare attenti a non finire accoltellati. 
Un lavoro da attori-narratori che Roberto Scappin e Paola Vannoni svolgono egregiamente tra un imprevisto e una probabilità, vediamo il prototipo del giocatore, quello che fa le scenette prima di tirare il dado o che stuzzica gli avversari profetizzando il lancio che li manderà sui suoi alberghi, un prototipo che nell’intento dell’opera va proiettato sull’uomo moderno.
Al contrario di molte partite fatte con gli amici e mai terminate, “Il monopolista” ha un suo vincitore, la regola delle tre S non ammette pareggi, ma forse gli stati d’animo si ribaltano nel finale, sollievo per lo sconfitto che esce dalla morsa della bancarotta, amarezza per il monopolista che ha finito di spennare le sue vittime.

 

(Ivan Filannino, 22 gennaio 2018, milanoteatri)

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MONOPOLISTA  (debutto al Kilowatt Festival 17 luglio 2017)

[…]Ma la parte eminentemente teatrale della giornata biturgense ha decisamente il suo clou nello spettacolo dei Quotidiana.com Monopolista: per come è costruito e per il senso di cui si fa portatore, il lavoro dei Quotidiana piace, diverte e convince.
Un tavolo, una partita a Monopoli, due giocatori che si fronteggiano: nel loro stile graffiante e surreale, Roberto Scappin e Paola Vannoni costruiscono una metafora pregnante attorno ad un gioco da tavolo, uno dei più conosciuti, la cui invenzione è datata 1935 e che ha visto avvicendarsi tra Imprevisti e Probabilità svariate generazioni di giocatori più o meno capaci e consapevoli.
Ed è proprio la “consapevolezza sistemica” il fulcro sul quale s’incentra la teatralizzazione del gioco; sicché questo gioco spietato in cui “i marxisti non arriveranno” perché “troppo impegnati a depliarsi” ci racconta di una società mutata antropologicamente, in cui il Capitale ha vinto dettando le proprie leggi, mentre l’antagonismo si è imborghesito. Sulla scena, l’uno di fronte all’altro, i due attori si contendono Vicoli, Larghi, Parchi e Società a colpi di lire (“non con l’euro che è già fallito”), propalando lei l’etica della spietatezza, mentre lui sembra incarnare l’ingenua sprovvedutezza dell’uomo comune, fatalisticamente disposto al fallimento come destino etico.
Sfida, spietatezza, sopraffazione sono le tre “S” che ispirano il gioco, un gioco che in realtà è la vita e che presuppone che prima o poi l’altro vada in rovina. Vale l’etica inumana del libero mercato, in cui puoi per quanto hai. La partita si gioca su toni surreali ed evocativi, tra citazioni kubrikiane (Shining e il Nadsat di Arancia Meccanica) e musiche del Padrino solfeggiate all’atto di finire in galera, costruendo una drammaturgia in cui il registro comico alleggerisce ma non depotenzia di tono il discorso di fondo incentrato su una critica senza sconti alla aberrazione di una società che riproduce le dinamiche del Monopoli, un luogo dove impera la finanza, dove non c’è ciò che non si vede, come la coscienza, non esiste una chiesa, non c’è un cane e non è prevista nemmeno la toilette. Da ciò discende una riflessione conclusiva, che vuole rifiutare che le vite di ciascuno ballino sull’alea di un lancio di dadi e rimangano in balìa di regole che discendono direttamente dai poteri politici e finanziari.
C’è bisogno che si riscrivano delle regole a cui improntare il vivere sociale: è quel che ci dicono Roberto e Paola mentre tirano dadi e spostano segnalini, giocando in scena una partita bella come il teatro, amara come la vita.

 

(Michele Di Donato, 9 Agosto 2017,  Il Pickwick)

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Monopolista, il dado è astratto

O ritratto, il dado è il ritratto delle sei certezze che stampate sulle facce giocano la conferma o la smentita, la prigione o il premio. Nel duopolio di coppia, nell’anarchia dei sentimenti, riflettiamo su Monopolista, il nuovo lavoro dei Quotidiana.com.
Ho conosciuto il loro teatro otto anni fa e da allora non ho mai smesso di osservarli, come si osserva un essere bicefalo dalla ribalta mai facile, sempre sul punto di deflagrare dalla calma elettrica nell’ira dei giusti.
I Quotidiana, un duo teatrale ormai storico, una coppia, una formidabile coppia di autori complementari. Una tragedia esteriore manifesta, una sofferenza laconica, dissimulata; lei che è Gesù, lui un anarchico in verità fotogenico: loro che giocano davanti a noi al Monopoli, sono gli stessi che hanno vinto il premio “Loro del Reno” nel 2008, osannati a fase alterne da tanta critica dégagé; loro, che stavolta ci hanno messo in difficoltà sentimentale, con questo capitolo unico, questo gioco sporco e così yankee, con Monopolista, ultimo lavoro presentato al Kilowatt festival 2017.
Detesto i giochi di società fin da bambino. Ne ho repulsa, mi abbatte anche solo ritrovarne le scatole, vederle sporgersi impolverate dagli scaffali della cantina; immaginare quei dadi e le pedine mi getta nell’’angoscia. E’ l’angoscia dei lunghi pomeriggi in famiglia, la domenica, attorno a un tavolo coperto di carte e cartoncini colorati, dove non aspettavo altro che perdere per tirare via tutto. Perdere e prendermi gioco di tutto. Eppure da loro, i Quotidiana, accolgo come un dono questo spettacolo ai dadi, perché non evidenzia che nuove provocazioni, rivolte forse al fallimento dell’opera in sé, al dissolvimento della brama attoriale.
C’è un precedente a questo lavoro nel Grattati e Vinci di qualche tempo fa; anche lì, il gioco, l’azzardo. E prima ancora nella virtuale pallina contesa di “Tragedia”, si trattava sempre il tema del gioco. Erano antifone di quanto abbiamo visto a Sansepolcro: i due bell’imbusti in bretelle e camicia di lino bianco, battersi a Monopoli. Battersi, come sempre, su qualcosa che includa l’insensatezza delle umane cose, che eluda noiose analisi storiche, in una fuga prospettica e disarticolata che punta all’infinito, quello leopardiano s’intende.
Mi sono chiesto negli anni dove potesse spingersi la loro (auto)provocazione. Dove potesse azzardare l’abnegazione artistica senza annientare le giuste conquiste di critica e di pubblico. Ecco dove, forse. In una mano al Monopoli, un nuovo sberleffo al teatro contemporaneo, la sua iperbolica serietà d’intenti, le sue politiche inclusive.
Al di là dell’ovvio sempre. Dunque, anche questa volta è stato un gioco distorto, dove a vincere sono lo smarrimento, il dubbio. Ha detto bene Tommaso Chimenti parlando tempo fa dei loro spettacoli: si tratta sempre dello stesso lavoro, di parole, di silenzi e pause, trattato (aggiungiamo qui) di volta in volta con dispositivi diversi, e dove la dimensione del gioco – per fortuna – è stata sempre presente. Stavolta il Monopoli l’ha fatta da padrone, ha tenuto banco per un’ora intera, forse troppo, ma è niente rispetto alle reali agonie dei pomeriggi domenicali passati ad alitare sulle tombole o sui Risiko di turno. I dadi, le pedine con l’immancabile paperella gialla (personaggio accessorio dello spettacolo), hanno monopolizzato per una volta la crudele prosa dei Quotidiana, ma tutto questo ce lo meritiamo, assieme alla compagnia, agli operatori teatrali, noi spettatori.
“E’ solo un gioco, non era un fuoco”, eppure in ultimo qualcuno potrebbe commuoversi davanti alla possanza lirica dello sconfitto, alla pietà sgomenta della vincitrice. Non la si butti semplicemente in metafora, la prigione, gli imprevisti, le probabilità. La semplicità stavolta è solo pausa evolutiva, passaggio verso l’inatteso, un lancio dove i dadi rotolano troppo a lungo, senza fermarsi, poi cadono oltre il piano, uno scivola fuori dal palco e comincia allora un vero spettacolo: lo spettacolo del gioco per tutti e di tutti, del pane et circenses per chiunque voglia dimenticare un poco la giornata.
Fedele all’idea che i loro lavori siano sempre fatiche autentiche, anche quando venate di una qualche ingenuità, credo che questo Monopolista evochi anche l’equilibrio di coppia, il potere nella coppia. E’ in gioco la forza dei sessi, la violenza erotica si sublima in frenetici lanci di dadi, in affondi verbali taglienti, in dolci sguardi traversi, al bagliore arancione di una plafoniera. Osserviamo lui, desidera perdere, guardiamo bene lei, agogna vincere sì, ma senza che lui lo voglia, senza che lui semplicemente rinunci. Monopolista come dire maschilista pare dire lei; come dire “perdente” (anche in amore), sembra dirci lui, sempre un poco più truce, visibilmente dispiaciuto per qualcosa che non osa più ricordare. Che vinca il giusto, è il sottotesto utopico che nessuno invoca più.
Via coi dadi, si giochi a perdere. Ma, se si è in due, se si gioca in due, il risultato è sempre drammatico. Teatrale. Vincere su tre, quattro, cinque giocatori, è lecito, ma vincere su uno solo, è un orrore. Un solo sconfitto, un solo vincitore, intercambiabili e uniti. Ecco i nostri Quotidiana.
Dunque un lavoro fedele alla “linea Q.” ma diversamente crudele per l’esplicita prepotenza del gioco. Un lavoro tirato a sorte, ai dadi, cosa di più irriverente di una partita a Monopoli a tutta scena?
Se la vita è un gioco, loro non hanno l’aria di divertirsi mai troppo.
Forse Monopolista – stando anche alle prime critiche – ha tradito le attese di un pubblico lungamente affezionato e nutrito a raffinate battute, allusioni ed epigrammi. Bene però sia arrivato un lavoro tanto disimpegnato, giocoso nell’essenza, disubbidiente non più solo alla forma e alla tecnica, ma anche all’umorismo preponderante, all’arroganza della ragione.
Un lavoro potremmo dire punk, per quanto sobrio ed elegantemente vestito. Non a caso, si invitano gli spettatori a proseguire lo spettacolo con nuove partite a Monopoli, in un torneo-tournée idealmente senza fine.

Ecco tutto, ci si dirà sconfortati dai minori effetti: nient’altro che una partita condita di battute e alcuni sketch. Suvvia, non facciamone una tragedia; i Quotidiana dovranno pur rompere qualcosa del loro tabernacolo per poterne uscire e darci nuovi furori.
Quando mai un gioco di società ha prodotto qualcosa di più di un lieto consumarsi del tempo, tutti assieme, ludici, senza pensieri, senza l’ansietà del reale? Senza finzione, senza gloria. Non applaudiamo troppo, partecipiamo.
Duopolisti manichei, oligarchi del cuore, uniamoci contro il monopolio dei vincenti!

 

(Michele Montanari, luglio 2017, UnDog)

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