SEMBRA MA NON SOFFRO

“Sembra ma non soffro” dei Quotidiana.com al Semifestival

Le parole bisbigliate  arrivano a malapena alle nostre orecchie. Nella tipica atmosfera di ossequio e di soggezione che si respira nei luoghi di culto, due attori, Roberto Scappin e Paola Vannoni, sembrano voler confessare a se stessi e al pubblico tutte le paranoie e le manie da cui sono attraversati.  Un dialogo sommesso da cui emergono detriti di ossessioni cresciute all’ombra della fede e del mercato, due dogmi della società con cui tutti devono fare i conti.
I bisbigli dei due attori hanno il suono cospiratorio di una rivoluzione che sembra aver lasciato il posto piuttosto all’apatia, al distacco per le cose del mondo. È proprio con questo sguardo disincantato che i due scompongono e decompongono un pezzo dopo l’altro i mattoni su cui sono state innalzate le cattedrali della religione e non solo. Battute pungenti, gesti in slowmotion, due inginocchiatoi bianchi su cui si fa di tutto tranne che pregare, voci stanche, esauste, al limite della depressione che ci parlano piano, facendosi beffe di se stessi e della società di cui facciamo parte senza neanche chiederci troppo perché.
L’importanza del linguaggio è sottolinenata dalle pause, nei silenzi, nei gesti che riempiono le parole come i gesti con cui si cerca di ricordare sugli inginnocchiatoi le esatte sequenze del segno della croce come in un esercizio ritmico, questa va a destra per questo motivo, questo va a sinistra per quest’altro. E’ così che funziona, sembrano dire le loro mani. È così assurdo sembrano dire le loro parole. Tutto è vano, tutto è sospeso, improvvisi scatti, ripiegamenti.
Questo e molto altro è “Sembra ma non soffro” della compagnia teatrale “Quotidiana.com”, andato in scena al Grattacielo in occasione del Semifestival 2015, giunto quest’anno all’XI edizione, con un’intensa attività prevista fino a Dicembre con 22 spettacoli teatrali e di danza, documentari, laboratori di formazione.
«I Quotidiana.com -racconta Paola Vannoni– nascono nel 2003 da esperienze teatrali diverse, per trovare la nostra forma attuale siamo passati da esperienze “non felici” fino a raggiungere la nostra cifra: raccontiamo il presente con apparente distacco e apatia e disinteresse mentre invece c’è un senso di rabbia e delusione. Abbiamo deciso di non fare un teatro di denuncia perché secondo noi il teatro deve arrivare con altre parole a stimolare una riflessione. In noi c’è un profondo spirito rivoluzionario perché vorremmo cambiare molto del nostro presente anche all’interno del mondo del teatro che secondo noi è vecchio, sporco e malato in molte delle sue parti. Siamo una piccola realtà e in questo settore non c’è condivisione non c’è senso di appartenenza, viviamo una condizione ai margini.E dopo quasi quindici anni di attività siamo stufi che questo tipo di teatro sia ancora considerato di “confine”. La riflessione del teatro di oggi non può che essere amara, perché lo fanno i divi della televisione ed è tutto incentrato sull’incasso. È vero che ci sono linguaggi universali ma ogni grande autore ha parlato del suo presente e noi lo dobbiamo fare con il nostro presente trovando altre parole senza mascherarci dietro gli autori del passato.»
Al termine della spettacolo i Quotidiana si fermano per una chiacchierata con il pubblico  rivelandoci alcuni aspetti della genesi di questo lavoro «Noi non ci mettiamo a tavolino a scrivere ma registriamo le nostre sessioni ed estraiamo il nostro lavoro da lì, l’essere umano è meravigliosamente drammaturgico; non strutturiamo psicologie, ci lasciamo attraversare -racconta Roberto Scappin e aggiunge- siamo costituiti da religione e paranoia, siamo percorsi da antinomie e antitesi, desideriamo e disprezziamo ciò che la società ci impone».
Ma quando anche l’ultimo rigurgito di coscienza viene ingoiato a forza e tutto sembra essere destinato al silenzio severo di una chiesa immaginaria, parte nel finale una bella ciao sussurrata che assomiglia tanto a quei fuochi spenti da poco, tiepidi e ancora fumanti, un filo che sale e sale nelle volte del cielo fino a fermarsi sulla tomba di un partigiano morto per una libertà non detta. Oggi, come allora, inespressa e inesplorata.

 

(Luca Limitone e Silvia Trovato, Livorno)

Nasce la cultura sui “Terreni Creativi” e diventa poi anche “Un tanto al kilo”.

[…] Tre titoli: Andrea Cosentino con “Primi passi sulla luna”, “Sembra ma non soffro” dei Quotidiana.com e il dirompente e provocatorio “The best of” di Leo Bassi. Tre differenti stili di recitazione e di messa in scena. […] La prova offerta dai Quotidiana.com ha convinto ampiamente il giudizio di tutti. In un’atmosfera quasi psichedelica, Roberto Scappin e Paola Vannoni sembrano esistere in una dimensione sospesa in uno spazio atemporale e algido. Una sorta di litania in assenza emotiva come una giaculatoria in cui viene esclusa la devozione e sostituita da un’estraneità ad ogni forma di sentimento. La religiosità a cui sembrano aderire i due inginocchiati non è in realtà veritiera ma diventa pretesto per includere con grande sagacia ai confini di un cinico sarcasmo, temi esistenziali dove nulla trova una sua giustificazione plausibile.
I Quotidiana sembrano dirci che l’uomo non ha speranza di trovare mai pace con se stesso, condannato all’inquietudine perenne. Altro che assoluzione dei peccati. Capaci di entrare in empatia con il pubblico (come dei fedeli laici), dimostrano come il filo conduttore che muove la loro ricerca e la sperimentazione progredisca in modo inesauribile. Sempre all’insegna di una drammaturgia che non si fa addomesticare facilmente ma chiede uno stato di crisi alla coscienza individuale e collettiva sempre meno capace di darsi e di ricevere risposte assolutorie. Sembra ma non soffro fa divertire anche se se non sembra.

 

(Roberto Rinaldi, 26/11/2014)

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recensione-sembra-ma-non-soffro_lespresso_04092014

(Rita Cirio, 4 settembre 2014, L’Espresso n.35)

Festival 2014_4 Un paio di esempi per cominciare, quando il teatro dà fuoco a santi e spettatori
Dove si parla di Leo Bassi, Omini e Quotidiana.com

[…] Il meccanismo del gioco permette di sfogare una leggera ironia sulla sfera del sacro. Una operazione analoga la compie Quotidiana.com (ovvero Roberto Scappin e Paola Vannoni) in Sembra ma non soffro, dove mettono in frizione la sfera del sacro e le grandi questioni esistenziali con la dinamica quotidiana della vita di coppia, in una raffinata drammaturgia “in levare”. 
I meccanismi del teatro provano a smontare quelli della religione (o viceversa), sovrapponendo due ritualità che insieme si amplificano e si annullano straniandosi a vicenda, la tensione al trascendente viene azzerata dall’eco dissacrante della chiacchiera quotidiana. Quello che resta nella memoria, dopo questo esercizio materialistico, è un residuo quasi impalpabile, nel quale si nasconde (forse) un “indicibile” effimero come le risate degli spettatori che punteggiano lo show. […]

 

(visto a Terreni Creativi, il festival organizzato da Kronoteatro nelle serre di Albenga)

 

(Oliviero Ponte di Pino, 20 agosto 2014, ateatro n. 151  www.ateatro.it)

SEMBRA MA NON SOFFRO 5 agosto 2014 Festival “Terreni creativi”, Albenga

Abbiamo già recensito questo spettacolo,  che abbiamo rivisto molto volentieri, di Roberto Scappin e Paola Vannoni di Quotidiana Com., compagnia che ci aveva già positivamente impressionato al Festival di Santarcangelo dei Teatri con lo spettacolo “ Grattati e Vinci”.
Non vorremmo ripeterci, solo sottolineare che dal nostro punto di vista, per le modalità con cui gli spettacoli di questa compagnia vivono in scena, con uno stile del tutto personale sia linguistico che espressivo, rappresentano un nuovo punto di partenza del teatro contemporaneo. Riconosciamo loro il merito di avere aperto una nuova direzione (dovrebbero fare parte della storia del teatro)  e siamo curiosi di seguirne l’evoluzione.

 

(Emanuela Dal Pozzo, 5 agosto 2014 www.traiettorie.org)

Paola Vannoni e Roberto Scappin, animatori di Quotidiana.com, praticano un teatro di matrice eminentemente surreale. Una proposta curiosa, da vedere e su cui riflettere –Renato Palazzi
 Non avevo finora mai assistito a uno spettacolo della Compagnia quotidiana.com, e arrivo quindi a dire la mia con colpevole ritardo. Li avevo incrociati, forse anche fisicamente,  in qualche festival, ne avevo seguito a distanza gli spostamenti, ma – senza un vero motivo, come accade in questo mestiere – non mi  era capitata l’occasione di vederli in azione. Sono andato quasi per caso all’Elfo Puccini di Milano, dove presentavano Sembra, ma non soffro, e mi sono trovato di fronte a un fenomeno alquanto originale. Lo spettacolo è raffinato, intelligente. Diverte, ma uscendo ci si accorge di averne avuto qualcosa più del semplice divertimento.
Che tipo di teatro fanno Paola Vannoni e Roberto Scappin, corpi e anime di quotidiana.com? Verrebbe da dire un teatro di matrice eminentemente surreale, forse vicino a certe storiche espressioni di quello che un tempo si chiamava teatro dell’assurdo. In estrema sintesi, i due lavorano sul non-senso, su un bizzarro sradicamento della comunicazione verbale. Ma si tratta di un non-senso che forse non è affatto privo di senso, e che anzi proprio attraverso la palese insensatezza riesce a esprimere dei significati molto precisi. Si pensi, ad esempio, al finale diSembra, ma non soffro, in cui si mettono incongruamente a cantare Bella ciao, e arrivati in fondo si interrompono lasciando in sospeso proprio l’ultima strofa: «è questo il fiore del partigiano/morto per la…», e quel silenzio, quel non pronunciare la parola libertà assume forte rilievo evocativo.
Lo spettacolo è apparentemente fatto di nulla, un tubo al neon appoggiato per terra, due scranni bianchi da chiesa e le due figure vestite di scuro che parlano restando prevalentemente sedute o inginocchiate. Si tratta invece, di fatto, di una costruzione molto più complessa, in cui il testo, la recitazione, la fissità allibita delle posture si intrecciano strettamente, e concorrono in pari misura a determinarne il linguaggio. Fondamentale, comunque, è il peculiare impianto interpretativo messo a punto dai due, che con la loro dizione pigra, rallentata, coi loro toni straniati, ottusamente impersonali, quasi vagamente assenti creano una gabbia espressiva rigorosa e stilizzatissima, una specie di equivalente vocale di quella loro scrittura ingegnosamente inconcludente.
Il nome del gruppo, quotidiana.com, suggerisce un esplicito richiamo alla vita di ogni giorno: alcuni degli argomenti che affrontano, seppure spiazzati, decontestualizzati, appartengono in qualche modo alla realtà, e non è escluso che in molti casi abbiano addirittura dei diretti risvolti autobiografici. Il loro stralunato combinarsi li spinge però verso un’esasperazione paradossale. Gelidamente, spassionatamente, direi quasi con precisione chirurgica – più che con qualche furore satirico – i due mettono in luce il vacuo bla bla che corrode le nostre relazioni. Mostrando il vuoto che sta dietro la realtà, svelano la natura prettamente metafisica di quest’ultima. È la contemplazione del vuoto il più attinente e insostituibile degli “esercizi di condizione umana” enunciati nel sottotitolo della loro Trilogia dell’inesistente.
Il teatro di quotidiana.com consiste principalmente nel rapporto tra la Vannoni e Scappin. Tra i due attori per ciò che sono, tra i loro personaggi per ciò che incarnano. È tipicamente un gioco a due, un confronto dialogico e un incastro fra caratteri opposti – il razionale e l’istintivo,  il fiducioso e il rassegnato, il furbo e lo sciocco – che attraversa e ribalta tutta la variegata tipologia in cui è stato via via declinato, il Bianco e l’Augusto, il comico e la spalla, i fratelli De Rege col mitico «vieni avanti, cretino!», Vladimiro ed Estragone. Il meccanismo che attuano è elementare, ma efficacissimo: uno domanda, l’altra risponde. Risposte acute a domande dissennate, e viceversa.
I due discutono di filosofia, di religione, si interrogano alla loro maniera su Dio e i comandamenti, e poi si mettono a parlare delle più futili banalità, i fermenti lattici, la gente che si lava il collo o le orecchie o le ascelle. E anche qui le due sfere si intrecciano, le domande filosofiche ricevono risposte terra a terra, le domande terra a terra richiamano risposte inutilmente pensose. A volte questo scarto pare  invece innescare sorprendenti lampi beckettiani: «Perché ci siamo inginocchiati?» – «Per vedere se la sofferenza diminuiva», è uno scambio di battute che non sarebbe dispiaciuto all’autore irlandese. E tutte le riflessioni sulla crocifissione e sui miracoli potrebbero rimandare a certi passi di Aspettando Godot sulla sorte dei due ladroni.
Insomma, è una proposta anomala, curiosa, da vedere e su cui riflettere.

 

(Renato Palazzi, 14 dicembre 2013 www.delteatro.it)

“Sembra ma non soffro” al Kitchen

Interessante la messa in scena di “Sembra ma non soffro” del duo di Quotidiana Com. di Rimini, di e con Paola Vannoni e Roberto Scappin, andato in scena il 15 febbraio 2013 al Teatro Kitchen di Vicenza, all’interno della 3 Rassegna teatrale  che, dopo Madame Rebinè, segna l’alto livello di qualità delle proposte.  
Anche con questo spettacolo Quotidiana Com. riconferma il proprio inconfondibile stile: sussurrato, contenuto nelle emozioni, quasi casualmente irriverente, raffinato nella ricerca linguistica dei significati di azioni e parole che fanno parte del nostro quotidiano.
I due protagonisti  inginocchiati per la maggior parte del tempo a due banchi di chiesa, si raccontano intimamente, svelando a ruota libera pensieri ed emozioni e dimostrando come, per scardinare i luoghi comuni  del comune pensare bisogna destrutturare il linguaggio e i suoi nessi logici.
In una sorta di pubblica confessione si misurano con i rituali della fede e con il dolore e tra i sussurri, le riflessioni e i silenzi, si coglie la  denuncia  di una realtà intorno superficiale e insoddisfacente.
Le loro espressioni sembrano neutre, non partecipate, eppure il pubblico avverte l’intensità emotiva nascosta e diventa immediatamente complice, si immedesima e si riconosce nell’ironica profondità sottesa di certe riflessioni.
Diversi i pregi di questa Compagnia apprezzabile per l’assoluta originalità del linguaggio, quasi sezionato nei pensieri nell’atto di formarsi, l’originalità dello stile interpretativo, l’immediata complicità che riescono ad avere con il pubblico e lo sguardo smaliziato, apparentemente casuale, con il quale indagano la realtà attuale.
Ne esce una partitura dal ritmo rigoroso, leggera e al contempo profonda, ricca di immagini e di spunti, di cose dette e non dette, che invitano lo spettatore ad una implicita partecipazione attiva.
“Sembra ma non soffro” precede nel tempo lo spettacolo “ Grattati e vinci”, presente al Festival Internazionale di Ricerca di Sant’Arcangelo di Romagna, già recensito in quel contesto, spettacolo in cui lo stile di ricerca avviato in “Sembra ma non soffro” diventa ancor più tagliente, supportato da una più chiara identificazione dei personaggi in scena ( una coppia nella propria cucina) e da un testo graffiante che spazia su innumerevoli argomenti.

 

(Emanuela Dal Pozzo, Traiettorie, 15 febbraio 2013)
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B.MOTION /1. Ironia e assurdo, in “Sembra ma non soffro”.
(…) Di tutt’altro respiro il Sembra ma non soffro dei Quotidiana.com, andato in scena al Csc Garage Nardini. Ironia e assurdo sono al centro di uno spettacolo minimale e fulminante. Due inginocchiatoi e due attori (Roberto Scappin e Paola Vannoni) per indagare, in un tempo sospeso tra l’attesa e la rassegnazione, la parola come arma da taglio della realtà. Bersaglio della lama: il sacro e i dogmi della fede, banalizzati da uno sguardo cinico che risulta umoristico. Interessante l’analisi sul dolore che c’è ed è profonda. Efficace anche il ritmo lento e trascinato che dà il senso dell’accidia da cui scaturiscono le riflessioni sconnesse. Un beckettiano teatro dell’assurdo, applaudito dal pubblico.

 

(Silvia Ferrari, Il Giornale di Vicenza 31/08/2012)
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B.MOTION /1. Ironia e assurdo, in “Sembra ma non soffro”.
(…) Di tutt’altro respiro il Sembra ma non soffro dei Quotidiana.com, andato in scena al Csc Garage Nardini. Ironia e assurdo sono al centro di uno spettacolo minimale e fulminante. Due inginocchiatoi e due attori (Roberto Scappin e Paola Vannoni) per indagare, in un tempo sospeso tra l’attesa e la rassegnazione, la parola come arma da taglio della realtà. Bersaglio della lama: il sacro e i dogmi della fede, banalizzati da uno sguardo cinico che risulta umoristico. Interessante l’analisi sul dolore che c’è ed è profonda. Efficace anche il ritmo lento e trascinato che dà il senso dell’accidia da cui scaturiscono le riflessioni sconnesse. Un beckettiano teatro dell’assurdo, applaudito dal pubblico.

 

(Silvia Ferrari, Il Giornale di Vicenza 31/08/2012)
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A B.Motion Teatro va in scena la seconda parte della Trilogia dell’inesistenteSembra ma non soffro della compagnia riminese quotidiana.com. Un lavoro che strappa risate amare al pubblico in sala, trascinato da un testo che si muove per frammenti, pause e riprese. Roberto Scappin e Paola Vannoni si armano di un’ironia dissacrante, declamata da quello che col procedere dello spettacolo si rivela essere un altare per peccatori. Ci si trova così ad assistere a una messa in cui la figura del prete, del confessore e del credente si fondono per dare vita a un cortocircuito indotto dall’incongruenza tra un senso dell’umorismo blasfemo e una partitura vocale improntata al monotòno e alla noia. In questa frattura che si viene a consolidare durante la messinscena, il quotidiano si insinua tra le pieghe di parole capaci di scheggiare, graffiare e abbandonare lo spettatore in un purgatorio che è tutto reale, fatto di domande irrisolte e incertezze.

 

(Giulia Tirelli, il tamburo di Kattrin 30/08/2012)
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Giro di boa. Il quarto giorno a Teatri di Vetro coincide con la fine della prima settimana: è domenica e tutti sono andati al mare a prendere acqua da sopra invece che da sotto, la stessa acqua temporalesca che induce a restarsene chiusi in casa, poi domani è lunedì e si lavora di nuovo, in più oggi è domenica di maggio e c’è l’ultima di campionato in serale e se non per la partita dopo una giornata in giro ad imprecare nel traffico del ritorno, davvero a chi va di uscire? Questo devono aver pensato tutti quelli che invece della Garbatella, stasera hanno scelto altre zone, presumibilmente quelle dei loro quartieri dentro le loro case, a giudicare dalla desolante carenza di pubblico – strana per il festival – da dover annotare. Ed è un vero peccato perché l’auspicio era dei migliori, proponendo due tra i lavori sulla carta più interessanti dell’intera programmazione.
Sembra ma non soffro dei quotidiana.com (al secolo Roberto Scappin e Paola Vannoni) non l’ho visto qui, ma a Castiglioncello nell’ultimo festival firmato Massimo Paganelli, lo scorso novembre che pioveva come oggi. Il loro obiettivo è indagare la realtà stanandola dagli angoli più nascosti, con un senso grottesco decisamente spiccato e una comicità algida ma di grande finezza espressiva; questo spettacolo in particolare (forse più del precedente Una tragedia tutta esteriore, con questo inserito in una trilogia sulla condizione umana) mi parve particolarmente riuscito per incisività rispetto a questa dichiarazione d’intenti, più cosciente e maturo: scelgono ancora una messa in scena essenziale in uno spazio perimetrato, il silenzio come cardine espressivo del loro dialogare e il colore bianco come segno estetico distintivo, componendo una partitura di azioni e gesti quotidiani che riescono a non far mai scivolare nel concettuale, restando in uno spazio di comprensione sereno e quindi – proprio per questo – incisivo. Uno spettacolo felice dunque, che si articolo in un’indagine equilibrata e razionale attorno alla religione, il cui uso dell’apparente blasfemia per un bisogno di spiritualità è davvero scelta efficace; la scelta a-tonale ha un valore ulteriore ed è accogliente e dissuasiva insieme, come fosse omelia e la sua negazione: è qui che la loro danza di significanti rivela l’obiettivo, ossia porre il dogma in discussione usandone i mezzi, riflettendo sull’uomo, sui suoi comportamenti e le contraddizioni dell’esistenza: fuori di dottrina, una libera preghiera a sé stessi.

 

(Simone Nebbia, 23 maggio 2011 www.teatroecritica.net)

L’estetica del provvisorio.  SEMBRA MA NON SOFFRO (secondo episodio della trilogia dell’inesistente – esercizi di condizione umana) è uno spettacolo incentrato sulla parola che analizza e destruttura il pensiero con l’icasticità di una comic-strip affrontando argomenti centrali della nostra contemporaneità (il sacro e la fede) con precisione e intelligenza. Un teatro istantaneo fatto di parola (detta con una atonalità che ne sottolinea il senso) dove la scenografia (un inginocchiatoio, bianco) ha  il segno minimale disinvolto e accennato del tratto da fumetto. Dove il confronto dialettico tra due personaggi uno maschile e uno femminile scova nel pensiero a margine, nel pensiero eccentrico, quello che letteralmente si trova fuori dal centro delle cose, un punto di vista privilegiato per analizzare e destrutturare consuetudini e abitudini usando la chiave dell’humour freddo come strumento di lucida analisi e (auto)consapevolezza.

 

(Alessandro Paesano, 23 maggio 2011 www.teatro.org)

“Chi avesse la fortuna di parlare, al di fuori del contesto spettacolare, con Paola Vannoni e Roberto Scappin, rimarrebbe meravigliato e un po’ spiazzato dinanzi alla sincera curiosità e all’intelligenza delle loro osservazioni, così al di fuori dei codici condivisi di comportamento. In teatro, assistendo a uno spettacolo della “Trilogia dell’inesistente”, avrebbe probabilmente la stessa reazione. Non cambia, infatti, nel passaggio dall’ordinario allo straordinario l’atteggiamento di apertura, un po’ surreale, che questi due attori conservano nei confronti dei problemi più spinosi della contemporaneità.
Ed è forse questo il motivo per cui Sembra ma non soffro colpisce l’attenzione dello spettatore. Non ci sono sovrastrutture mentali, nessuna complicanza intellettuale: inginocchiati su due scranni da chiesa, i due attori recitano la propria litania come farebbe un qualsiasi individuo.
Solo che questa litania, liberamente improvvisata dagli attori durante le prove e poi ripresa da una telecamera, lancia al pubblico dei messaggi che non sono proprio da poco: il rapporto con Dio, il senso del dolore, la ribellione giovanile, il rapporto con gli altri.
Il meccanismo, a ben guardare, è quasi nauseabondo nella sua ripetitività, e ha stretti punti di contatto con esperienze limitrofe del teatro contemporaneo, Babilonia teatri è il caso più noto. Né la scena aiuta: è un teatro tutto frontale quello dei quotidiana.com, dove la scenografia è pressoché assente, come pure la musica. Ma proprio in questo minimalismo si nasconde la forza eversiva di questo spettacolo, che sceglie di fare tabula rasa di tutte le esperienze precedenti – Tragedia tutta esteriore è la prima tappa del loro nuovo percorso – per veicolare un messaggio che, nella sua apparente ordinarietà, è quanto di più possa esistere. E proprio per questo merita di essere conosciuto e apprezzato”.

 

(Roberto Rizzente, Hystrio ott – dic 2010)

di Tommaso Chimenti
Se l’anno scorso la tragedia era tutta esteriore, quindi di facciata, superficiale, bidimensionale, e quindi anche finta, falsa e fasulla, questa nuova prima dei riminesi Quotidiana.com, trova un gancio, un appiglio, rivalsa e rivoluzione dicendoci che, per estrema difesa e vulnerabilità, la loro sofferenza, turbamento, disequilibrio, sconfitta, è soltanto di forma. Le domande assillano, si muovono come api nell’alveare, danzano, sbalzano e sobbalzano, tagliano ferite che cercano di rimarginarsi. Senza dottori e non essendo Rambo a cucirsi da soli la pelle. E urlando piano “Sembra ma non soffro” è come se volessero allontanare l’attenzione da loro, spegnere l’occhio di bue che ti inchioda alla vita, immergersi nel buio del proprio dolore, che gli altri possono solo attenuarlo, ma non capirlo fino in fondo. Non ci sono orecchie ad ascoltarci. Ancora neon, che è una luce violenta, che straccia i corpi e li fa vedere come proiezioni di ombre con colori accesi sparati da renderti clown deformato. In “Tragedia” erano blu, stavolta bianchi. Candidi come gli inginocchiatoi da chiesa che li ospitano, ognuno nel suo metro quadro di libertà, quella individuale, come un cane al guinzaglio corto, compressa ed oppressa da Chiesa, religione, religiosità, codici morali e sociali che disegnano gabbie nelle quali dover soppesare parole, giudizi da dover sopportare, categorie da dentro o fuori, da accettazione o repulsione, da buoni e cattivi. E creano, con quel loro modo neutro e distante dalla quotidianità melodrammatica ed esagitata che ci circonda, un nuovo alfabeto, nuove gerarchie, un nuovo catalogo di necessità, altri dieci comandamenti non repressivi o impositivi. Una lunga preghiera laica, atea, agnostica, miscredente. Qui il Prometeo non è più incatenato, spezza le catene con il punk delle viscere con frasi crude e terribili gettate in pasto ai benpensanti. Come consigli per gli acquisti viviamo a “giocare a vincere”, soltanto per salvarci ed un “Bella ciao”, comunque in ginocchio ringraziante e pregante, che gronda rosso, ma anche civiltà e rispetto, in mezzo a tutto quel bianco algido e senza umanità, non risolve, ma almeno aiuta. Rimangono impigliati nella rete fanciullesca, la sigla del Pinocchio di Comencini, quando tutto era possibile, quando non si doveva elemosinare attenzione e tempo e comprensione che da adulti non siamo più così docili e carini da meritarsi un sorriso, una carezza che non sia compassionevole, pietosa e lacrimevole e lamentosa e gonfia di piagnistei. Siamo cani randagi che si strusciano ai muri perché abbiamo assaggiato il piede dell’uomo. C’è tempo per sferrare pugni alla Madonna, “che cos’ha fatto oltre a partorire? Come se l’avesse fatto solo lei”, al Papa, “vorrebbe avere lo sguardo buono”, alle forze dell’ordine, “se entravo in Polizia ero cattivissima e semmai sparavo a qualche collega per sbaglio”, sfiorare l’eutanasia, Gesù, “la crocifissione: l’ennesimo atteggiamento da sborone”. In fondo è “Soffro ma non sembra”.


(Tommaso Chimenti, www.scanner.it settembre 2010)

(….) Qui il fruitore è dinanzi alla “verità degli specchi” e alla ricezione eminente della percezione sensoriale dei corpi scenici che – come sottolinea George Simmel – formano la base della socialità. Socialità che viene derisa, commentata ed espansa nella nuova creazione dei Quotidiana.com, dove Roberto Scappin e Paola Vannoni con Sembra ma non soffro hanno dato vita ad un’opera frizzante, mai banale e sempre accattivante. Una danza delle parole che non ti lascia mai da solo, un susseguirsi essenziale di battute testuali incasellate una dietro l’altra con la grande qualità di far pensare ridendo. Il loro non rifiuto della parola ci mette di fronte finalmente a un ritorno al testo in un complesso scenico minimale; due inginocchiatoi bianchi illuminati da neon come un’installazione di Kosuth dove i due attori giocano benissimo il ruolo dell’incertezza, del “mettersi in gioco”, dell’ambiguità gratuita e dell’autocritica. Ma Roberto e Paola ci fanno guardare il mondo intero con un’altra ottica, una torsione concettuale rispetto agli usi correnti della socialità, e con semplicità imbarazzante descrivono una normalità rivitalizzata e alternativa. E se “la performance” – secondo Abercrombie e Longhurst – è così profondamente infusa nella vita quotidiana che noi stessi ne siamo inconsapevoli” – in quest’opera l’ infusione inconsapevole è il privilegio e la “perversione” più significativa che si possa desiderare. Sono riusciti attraverso la più essenziale, genuina e leggera delle interpretazioni a risolverci per assurdo problemi mentali, dubbi meravigliosi, questioni irrisolvibili e timori stressanti anche grazie all’intelligenza delle movenze, dell’organizzazione ritmica e temporale e all’arte incontestabile di una recitazione che hanno nel sangue.


(Massimo Schiavoni www.digicult.it/digimag/ settembre 2010)

Tra le produzioni del Kilowatt festival 2010 – manifestazione estiva di Sansepolcro che sta diventando sempre più centrale nel panorama nazionale – ce n’è stata una di particolare rilievo, «Sembra ma non soffro» della compagnia riminese Quotidiana.com, composta da Paola Vannoni e Roberto Scappin. I due si presentano su degli inginocchiatoi bianchi rivolti al pubblico, dando vita a un dialogo dalle forti tinte surreali eppure allo stesso tempo realissime, che hanno come bersaglio la religione e il senso comune in merito a questa, che sotto la lente di questo dialogo lentissimo e quasi sussurrato – ma ripreso dai microfoni che ci restituiscono il sonoro straniante e stralunato di un sussurro amplificato – mostra tutto il suo lato grottesco e molto poco razionale. Superstizione e principi religiosi ridotti a vuoti simulacri, a una sorta di coazione a ripetere, si intrecciano a un’ironia tagliente e spiazzante, che in più di un punto dello spettacolo fa scoppiare il pubblico in aperte e divertite risate. Il tutto portato avanti con fare chirurgico – e il neon delle luci non fa che sottolineare questa temperatura – e nell’immobilità più totale. La stesso formula, cioè, che Quotidiana.com ha utilizzato per il precedente spettacolo, «Tragedia tutta esteriore», anche questo dalle tinte iperreali e condito di dialoghi iperbolici e immobilismo. Difatti i due spettacoli sono il primo e secondo capitolo di una trilogia che il duo riminese sta realizzando sul luogo comune, presentato nel suo lato più ottuso e tagliente, aderendo cioè in toto senza possibilità di fuga (se non il riso) alla sua maligna banalità. Un aspetto della quotidianità che è al centro di questa compagnia fin nella scelta del nome. E un taglio recitativo e autorale tutto personale che ha fatto di questa formazione una delle sorprese positive dell’ultima stagione.

 

(Graziano Graziani, settimanale Carta n °28/2010)

…Terzo e ultimo spettacolo è il Sembra ma non soffro di Quotidiana.com, il duo artistico composto da Roberto Scappin e Paola Vannoni, da cui è tratto l’incipit di questo articolo e che affida ad un umanissimo discettare fra i due in un ambiente dal tono vagamente ecclesiasitico, la descrizione di un universo in cui l’uomo cerca, anche con sofferenza, le ragioni del suo non essere dio, o di esserlo e di volta in volta somigliando al dio crudele o al dio compassionevole, al dio dei cinici o al dio dei poveri.
In un sagace testo costruito intorno alla parola nata nell’improvvisazione, i due artisti spiegano il nostro tempo, il suo dissonare, il suo rivelarsi incongruente anche solo a noi stessi. Finalmente giudici dei nostri gesti e delle nostre azioni, condannati ad assumerne la responsabilità in assenza di dio, materializziamo il suono delle mancanze, delle omissioni, di un decalogo di cui non ricordiamo più gli articoli.
E proprio in questo mancare a sé del nostro tempo, che ha perso o non ha mai avuto il gusto di sentirsi libero da e libero di, il finale trova il suo compiersi assoluto, con i due protagonisti che cantano Bella ciao inginocchiati su questi finti banchi da chiesa,” …e questo è il fiore, del partigiano, morto per la …”. Silenzio. Fine.

 

(Renzo Francabandera, luglio 2010 www.paneacqua.eu)

Buio. Sul palco solo due inginocchiatoi. Entrano i due attori, si accendono le luci, inizia il rituale della preghiera. Mani giunte, ginocchia piegate. “È il caso di farsi il segno della croce?”: Così parte un dialogo di parole calibrate, un linguaggio pulito volto a distruggere ogni tipo di dogma, argomentazione, credo, abitudine, tradizione. Come in Tragedia tutta esteriore, i due attori riducono la scena al minimo e azzerano gli effetti sonori. Si parlano, si interrogano, accennano litanie, salmi, canti pacati, sommessi mai esagerati. Come se la forza si trovasse nella parola stessa, non nella sua interpretazione. Il cinismo, l’amarezza e l’ironia sono le fondamenta di un discorso che porta avanti tematiche molteplici con nessi logici assolutamente intuitivi. Dalla Madonna a Pinocchio, da Celentano alle arti marziali, dall’omosessualità alle caramelle, dalla ricerca della verità al tentativo di raccontare una favola mostruosa, gli attori ci sbalzano come yo-yo attraverso un percorso dove neanche il dolore alla fine è poi così reale. Non sempre è facile seguire le svolte intraprese dai due attori che a tratti rischiano di perdere l’attenzione del pubblico; pubblico che però rimane affascinato e divertito ogni volta che Paola Vannoni e Roberto Scappin riescono a sgretolare qualsiasi pensiero, rendendolo inutile. Il dolore è inutile, la religione è inutile, la matematica è inutile, ma l’inutilità permette a loro e a noi di vedere in una prospettiva del tutto nuova, le quotidiane domande fondamentali, e anche quelle meno fondamentali.

 

(Giulia Odoardi www.kilowattfestival.it – 22 luglio 2010)

Chi ha visto il precedente lavoro sa che i due attori riducono la scena a poco più di niente, azzerano ogni effetto sonoro, fanno della recitazione una sensibile parvenza. Un lavoro, anche SMNS, che si muove poco, fa poco rumore, e riesce a urlare di tutto.
Con il bisturi del sarcasmo alla mano, un’impeccabile geometria fisica, la misuratezza al calibro dei tempi comici, un uomo e una donna sfidano l’alto dei cieli dal basso della più vivida inerme condizione umana. Semplicemente si parlano, si interrogano, seguendo una maieutica a filo doppio che sa rischiare sul demenziale ma più spesso rasenta l’ineffabile, il poetico. Nei timbri vocali specialmente.
Due bianchi inginocchiatoi sono gli unici appigli di scena o il minimo podio da cui i due si recitano, o più spesso salmodiano, accennando litanie a due voci di una dolcezza micidiale. Tre pedane al neon gettano luce fredda dal basso verso l’alto, macchiando appena, scavando nei volti dei due attori ombre eloquenti. In scena, non c’è altro.
“E’ il caso di farsi il segno della croce?” è l’inizio di un dialogo sommesso, a tratti familiare, domenicale, anche liturgico (“Qual è il tuo santo preferito?”, le chiede lui) quando non sottilmente filosofico, o ammiccante al quotidiano (“Quando eri adolescente credevi di essere gay?”, domanda lei).
Non arriva un’intenzione precisa, non siamo da nessuna parte e la distanza dai due inginocchiatoi pare spesso voluta, anch’essa misurata. Il titolo stesso moltiplica solo ipotesi di significati. Provocano piccoli fastidi i Quotidiana di SMNS. Toccano felinamente alcuni nervi scoperti di un pensiero conforme a cui però condannano anche loro stessi; ancora una volta si evoca la malafede del benpensante, l’accusa colpevole di demagoghi coscienti. Ma il dubbio che i due stiano davvero soffrendo in diretta e rischiando la faccia li salva nel cuore di molti spettatori. Un’umanità errabonda, disorientata e stanca, un noi-tutti che impunemente il duo vuole rappresentare, sono questi gli elementi più forti di un teatro dall’aria povera, emaciata, sofferente appunto.
I due avanzano temerari in un labirinto di questioni aperte, di domande irrisolte davanti a cui si ferma la voce, risponde spesso un silenzio sotto forma di tregua; si teme il limite del fallimento scenico, dell’onanismo intellettuale, ma proprio quando la caduta sembra fatale e attorno senti il gelo di un fastidio contenuto, deflagra in un vuoto sapientemente dilatato la comicità intelligente dei Quotidiana. E tutto sembra davvero non soffrire più.
E’ vero, si ride spesso delle disgrazie altrui ma loro lo sanno, e i “senza grazia” sono lì, davanti a noi.
Eccoli di nuovo in ginocchio, alla fine dei minuti, dopo aver scoperto che anche stavolta pregare e maledire non è servito a capire nulla di più, la sofferenza, anzi, è forse aumentata.
E’ un inchino al pubblico che di lì a poco li potrà dimenticare o lapidare di facili critiche.
Molti invece si saranno in poco meno di un’ora affezionati a queste due sagome, questi poveri cristi, troppo umani per essere solo attori, troppo bravi per adempiere solamente al ruolo.

 

(Michele Montanari, www.argonline.it giugno 2009)