SEMBRA MA NON SOFFRO

2° episodio della Trilogia dell’inesistente_
esercizi di condizione umana

di e con Roberto Scappin e Paola Vannoni
produzione quotidianacom, Kilowatt festival Sansepolcro, Provincia di Rimini

Dopo Tragedia tutta esteriore, lavoro che ci ha in qualche modo rivelato come dall’accettazione della propria inutilità possa prodursi una materia nuova su cui sperimentare la propria impotenza, sentiamo che l’opera di vendetta inferta alle nostre labili certezze non può ancora dirsi compiuta, né in tal senso pienamente appagata.
Ci siamo accorti che Tragedia Tutta Esteriore aveva prodotto, quasi per partenogenesi,  altri organismi esplorativi che ci indicavano e conducevano verso nuove microrealtà, esistenti malgrado loro e la loro deflagrante nullità.
Nel tentativo di organizzare e dare una struttura drammaturgica a questa materia eclissata e instabile, abbiamo individuato il corpo di tre organismi che si versano l’uno nell’altro e si tengono insieme. Chiameremo questo corpo trilogia dell’inesistente.
Il primo, Tragedia tutta esteriore, alle prese con una vendetta;
il secondo, dal titolo Sembra ma non soffro, si confronta con l’attesa e l’estraneità; 
il terzo, Grattati e Vinci, si proporrà lo scrivere e il produrre attraverso i mezzi stessi dell’impotenza.
La cifra dinamica di questa trilogia dell’inesistente,  nella sua evoluzione concentrica di ineludibile ritorno al punto zero che l’ha generata, si identifica e si concreta sostanzialmente in esercizi di condizione umana.
Sembra ma non soffro non si propone di indagare il dolore, ma di trattare l’indecenza del dolore, così come è indecente dire il dolore. Così indicibile da voler ostinatamente essere detto. Esiste un dolore reale? quello che rifiuta di essere detto?
L’estraneità e l’attesa di Sembra ma non soffro non rappresentano antidoti al dolore, sono semmai una degenerazione della sofferenza, tanto che nulla sembrerebbe legare le due figure in scena al tema che le ha scaturite, nulla tranne essi stessi, posti su due inginocchiatoi ma con niente di cui pentirsi né qualcuno a cui rivolgere una preghiera.

Si finisce dentro il silenzio.
Nello spazio tra le parole c’è altro.
Il solito pensiero indicibile o forse qualcosa di più.
Oltre la rabbia e oltre il disprezzo, epurati dalla passione non resta che la constatazione. La vita è un amuleto.
Lo sforzo è riguadagnare lentamente il senso della distanza, pensare criticamente, porre distinzioni là dove tutto è omologato, impastato.
Estraniarsi.
l’inutilità ci libera dalla presunzione della scoperta.
Ma resta il principio di possibilità, che consente di uscire con una decisione, con una parola tragica: questo io farò. Nemmeno il principio di realtà – l’impotenza – lo sconfigge.
Così anche la possibilità è illusoria.

Come figure incasellate nella striscia di un fumetto, aspiriamo a un altrove e ci dibattiamo come sbavature di un disegno nel recinto angusto della vignetta. Sob!