TRAGEDIA TUTTA ESTERIORE

Siamo in un mondo a posteriori fatto di tute da fantascienza, un piccolo sistema d’astronave, un cosmo sotto una campana di vetro, da laboratorio avveniristico e futuristico, una stanza asettica senza alcun contatto fisico, da esperimenti e cavie, dove domina il bianco, che tenta di cercare le ragioni e la matrice, immedesimandosi in quello stesso magma putrido che è il nostro tempo (che infatti ci fa sorridere, e molto), con neon violetti ad intermittenza che regalano quell’effetto algido e freddo e in continua dissolvenza con il nero che s’espande tutt’attorno. Come il parlare in una sorta di amarcord di un universo che non esiste più, tornare a riviverlo, ricordandolo nei suoi limiti ma con una punta di nostalgia, che il futuro sarà (è) molto peggio. I due ci sono, ma sono eterei, labili come la maggior parte delle nostre vite che fanno volume, potrebbero spegnersi, sparire da un momento all’altro. Due personaggi che si annoiano in un duello di sguardi da Far West ma anche che si sono abituati alla noia, a girarci intorno senza affrontare il problema del tempo.  Come un interrogatorio assurdo, viene tirato in ballo Dio e i preti, Harry Potter, i ciellini, i mafiosi, i politici, i banchieri in un lamento continuo ma senza la ricerca di una soluzione pratica, un attacco frontale, non più arrabbiato ma trafitto da una rassegnazione carveriana. Domande quotidiane che tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo posti.

 

(Tommaso Chimenti – Hystrio ottobre 2009)

Ho sentito qualcuno del pubblico dire che questo era lo spettacolo più assurdo visto negli ultimi dieci anni; dove assurdo sta per astratto, ironico e senza senso.
Due persone si guardano negli occhi per un’ora: potremmo descrivere così questo spettacolo. Questa affermazione potrebbe trasmettere un forte dubbio sulla riuscita teatrale dell’opera; ma è così, e funziona.  Il primo impatto visivo è forte. È blu, è bianco, è nero: non si sa. Totale incapacità di definire l’immagine: è straniamento. Qualcosa di simile a quello che si prova davanti a Quadrato bianco su fondo bianco di Malevich…  Un dialogo, serrato e impersonale, racconta il triste consumarsi di due vite, legate, forse, ma certamente esauste, l’una dell’altra. Il pubblico ride al cinismo di alcune battute, e ne viene toccato proprio dall’apatia ricercata con cui si esprime questo lento sgretolarsi. La sensazione è quella d’uno stillicidio, violenza compressa, veleno, tacita esasperazione, un amore nato morto. Quotidiana.com ha dimostrato di saper stupire, di entusiasmare e trasmettere, proponendo il contrario, giocando perversamente sull’attrazione per il vuoto, che muove ogni essere umano, l’assenza, la crisi, l’apatia.

 

(Camilla Toso, www.iltamburodikattrin.com – giugno 2009)

Staticità, lentezza, specularità e vuoto: questi alcuni dei principali elementi di un lavoro fresco, surreale e raggelante. La giovane compagnia dei Quotidiana.com crea un lavoro innovativo, che ritrova le sue radici nel teatro dell’assurdo beckettiano, ma che allo stesso tempo si spinge oltre, portando la sua assurdità alla deriva.
Un uomo e una donna seduti l’uno di fronte all’altra si sfidano, attendono immobili, si fissano e mai si sfiorano. Roberto Scappin e Paola Vannoni sono semplicemente loro stessi. Non vi è  violenza fisica tra  loro: niente è mostrato visivamente, l’accanimento verso l’altro è esclusivamente verbale, è presente nei loro dialoghi, nelle loro idee perverse, nelle parole dette e nelle domande poste che difficilmente trovano un filo conduttore tra di loro. La vita stessa è un paradosso e nel lavoro dei quotidiana.com essa diventa inutile, una ‘qualsiasi vita di nessuno’, dove la tragedia è della propria esistenza, internamente svuotata di significato.

 

(Carlotta Tringali, www.iltamburodikattrin.com  – giugno 2009)

Un dialogo serrato, mirato, ad altissima precisione. Due sguardi feroci in un volto passivo, morbido. Due corpi che contengono voci lineari e gesti improvvisi ma noti, che ci sorprendono per il ritmo con cui si manifestano, ma che immediatamente riconosciamo come nostri.
Riconosciamo i contesti, le provenienze di molte delle frasi lanciate dai due attori di Tragedia tutta esteriore, Paola Vannoni e Roberto Scappin. Riconosciamo la strada nella quale abbiamo udito uno di quei discorsi, ricostruiamo il nostro andare a fare la spesa, il nostro andare a scuola, studiare Dante e distrarsi di continuo. Riconosciamo il nostro voyeurismo, la fascinazione della morte e delle ombre della vita. Lo spettacolo dei Quotidiana.com appare come un’antologia di situazioni e sensazioni, un lento videoclip elettronico.
Non c’è denuncia, non c’è rappresentazione. Privi di didascalia e compassione, i Quotidiana.com ricompongono tipi e situazioni inequivocabili, che messi sul palco ritrovano la forza che invece nell’amalgama di immagini e nella velocità del giorno reale si disperde, sfumando in secondo piano.
E l’abilità del gruppo sta proprio nel recuperare il nodo nascosto di ogni dubbio e condizione, estrarlo dalla confusione comune nella quale siamo abituati a vederlo e ridipingerlo sulla scena attraverso un gioco linguistico smaliziato, per nulla timoroso di essere troppo semplice e allo stesso tempo in grado di restituire la complessità della nube di pensiero che porta con sè.

 

(Serena Terranova, www.altrevelocita.it – giugno 2009)

Uno spazio bianco e posticcio. Due figure, lui e lei, seduti e biancovestiti. Due racchettine da ping pong.  Uno di fronte all’altra. Silenzio. Poi una battuta sfrontata, una richiesta paradossale quanto volgare detta come se fosse normalissima cosa. Inizia così un folgorante finale di partita intinto nell’acido della provincia italiana, un quadro di famiglia in interno, dilatato all’infinito, rarefatto e inesorabile, sospeso in un angosciante e cinico palleggiarsi domande banali e cosmiche, dubbi esistenziali e derive erotiche.
Quotidiana.com è una compagnia appartata e sufficientemente contorta da lanciarsi senza rete in uno spettacolo rischiosissimo e coraggioso, intelligente e divertente, aguzzo e amaro: e Tragedia tutta esteriore è una sorpresa che fa sorridere e toglie il fiato.
L’incedere è svagato, algido, lentissimo. Muove millimetricamente per sussurri e intimità: minimale e statico corpo a corpo di una coppia alle prese con se stessa. Non sappiamo chi siano quei due individui, ma conosciamo bene le tensioni sottaciute, le minacce velate, le domande insidiose, le risposte strafottenti. La partita di questo ping pong esistenziale si gioca, infatti, per accerchiamenti verbali e domande impertinenti: ma non ci sono vincitori. Tutto passa, in questa conversazione continuamente interrotta.
In scena, Roberto Scappin e Paola Vannoni sono bravissimi a tenere sul filo di un’impalpabile eppur presentissima violenza lo spettacolo. Il dialogo procede per scarti e voli, per libere associazioni e consapevoli omissioni, per suggerimenti e spirali, per battute geniali e surreali derive: sembra spegnersi, per lasciare spazio a una danza grottesca che potrebbe evocare e mettere assieme le performance dei primi Cochi e Renato o le silenziose costruzioni di Rem& Cap. Una drammaturgia serratissima e originale, che rimanda più a Forced Entertainment o Tim Crouch che non ai barbosi campioni di casa nostra, ed una regia silenziosa ma ferrea, che fa tenere ritmi e equilibri, fanno di questa Tragedia tutta esteriore un lavoro fresco e sorprendente: provoca risate, certo, ma attanaglia come una mano stretta in gola.
Lo spettacolo ha il gusto feroce e politico di mostrare l’inesistenza del nostro reale, di far brillare coscientemente le piccoloborghesi meschinità senza speranza in cui siamo arenati. E quando poi, nel finale, la coppia ancora una volta scivola in un silenzio immotivato e doloroso, ecco trasparire una pinteriana e amara terra di nessuno: né di qua né di là. Tra quelle paretine bianche, si consuma, ancora una volta, l’eterna routine del massacro quotidiano. Visto al debutto, nell’ambito della vivacissima rassegna Argo Navis di Mondaino, il lavoro di Quotidiana.com potrebbe davvero spiccare il volo.

 

(Andrea Porcheddu, www.delteatro.it – 30 marzo 2009)

(…)Qui  Paola e Roberto si mettono sulle spalle la vita degli spettatori e, in un gioco di metateatro, mettono in scena i dialoghi privati degli spettatori e, con ogni probabilità, dell’intera umanità. Intriso di grande e sottile comicità – quel grin mentale del gatto Cheshire di Lewis Carroll in cui la risata è mentale e sottile come la pazzia – lo spettacolo scende tra il pubblico come una risposta. Una risposta che viene formulata come una domanda: frammenti di nulla, luminosi, che destabilizzano – meravigliando – chi ascolta.

 

(Alessandro Carli, La Voce di Romagna, marzo 2009)

Un uomo e una donna a confronto, nell’utopistica ricerca di un autentico contatto. Il ritmo drammaturgico, la raffinata conoscenza dei tempi teatrali, la recitazione misurata, intercalata da pause vibranti, nel pieno rispetto della ricezione dei contenuti, concorrono a fare di “Tragedia tutta esteriore” – sull’eterno conflitto fra i sessi, sull’impossibilità di una reale comunicazione del sentire – uno spettacolo scorrevole e funzionante, dagli accenti talora esilaranti, capace di attrarre e trattenere l’attenzione.La scenografia, sobria ed essenziale, di uno straniante viola-azzurrognolo, assume connotazioni vagamente avvenistiche. Con suggestioni bivalenti, sembra tradurre una volontà d’allontanamento e di negazione del presente. I due – in apertura immoti e silenziosi, per alcuni istanti inerti come manichini – disquisiscono su grandi temi, disputano una sorta di gara, tentano di superarsi in prontezza di spirito e intelligenza. Tutto si svolge sul filo del sorriso. Ma nel loro interloquire, nei motti e negli atteggiamenti, nel loro scherzoso rapportarsi, serpeggia una mal celata, sottile perfidia. Sino alla danza fiacca, ripetitiva, speculare, di una semplicità disarmante, che gli interpreti eseguono, con i soli arti inferiori, in prossimità del proscenio, forse con un riferimento alla vacuità e alla stanchezza del proprio (e dell’altrui) discorrere, così segnando la fine della messa in scena.

 

(Luana Bombardi, www.inscenaonline.com – gennaio 2009)

Un dialogo sui massimi sistemi. O sui minimi sproloqui. Un quadretto familiare o un siparietto comico. Una presenza assente o la banalità del caso. La visione di Tragedia tutta esteriore lascia interdetti e allo stesso tempo ipnotizza. Un uomo e una donna si fronteggiano nella normalità di una chiacchiera borghese e nella volgarità di una lingua che non vuole comunicare ma solo aggredire, mentre scorrono parole inutili, frammenti di un discorso doloroso di cui non è rimasto più nulla se non una vaga parodia. Tutto rimanda alla sciatta inanità della società contemporanea, sciocca e quindi farsesca, che esibisce esteriormente una tragedia di cui si è persa memoria, una tragedia impossibile che riflette la tragedia reale di un mondo incapace di comunicare.

 

(Stefano Casi, direttore artistico Teatri di Vita – Bologna, novembre 2008 www.teatridivita.it)