sPazzi di Vita _ la follia non è un refuso

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(Rodolfo Di Giammarco, 7 agosto 2016, La Repubblica)

(Pier Lorenzo Pisano, 5 agosto 2016, Zenit)

Quotidiana.com ha debuttato con sPazzi di Vita_la follia non è un refuso a OrizzontiFestival 2016 portando in scena un delicato lavoro sul disagio mentale.

Roberto Scappin e Paola Vannoni fanno coppia artistica dai primi anni del 2000, sono emersi negli ultimi dieci tra i gruppi più interessanti e seguiti dal pubblico del teatro d’arte.
Ultimamente sono tra quegli artisti ai quali alcuni critici e operatori chiedono spesso un cambio di passo: ma Quotidiana.com – questo il nome della compagnia riminese – ha potuto costruirsi un linguaggio originale costringendo il proprio teatro in un dispositivo ben preciso a cui rispondono determinati canoni per mezzo dei quali il duo ha impostato una relazione precisa con la parola e la sua fonazione, cercando anche un rapporto diretto con il pubblico.

Quotidiana.com lavora su una recitazione scarnificata, un postulato antidrammatico che permette di accogliere il pubblico nei discorsi che i due mettono in scena. Non hanno bisogno di abbattere la quarta parete, semplicemente perché non l’hanno mai innalzata: così chi prende posto per la prima volta a un loro spettacolo è da subito parte di quel dispositivo, terminale ultimo di una relazione dialogica scritta verbalmente di fronte a una telecamera (qui tutte le recensioni).

Questa la modalità con cui i due autori hanno creato anche parte dell’ ultimo lavoro visto a Chiusi per OrizzontiFestivalIn sPazzi di Vita_la follia non è un refuso rimangono visibili proprio dei frammenti di quel percorso attraverso un video che, proiettato su di un telo circolare (appeso sopra teste degli interpreti, quasi fosse una luna), vede Scappin e Vannoni riflettere ad alta voce sul tema della malattia mentale, dando corpo a quel tentativo di avvicinamento approntato anche nelle note di regia: «[…] la follia ci abita senza aver pattuito il contratto, il canone di locazione. […] La follia è un angelo che bisticcia con la morale, con Dio […]».

Quotidiana.com ha reagito all’invito tematico del direttore artistico di OrizzontiFestival, Andrea Cigni, rispolverando appunti accumulati durante un’esperienza laboratoriale all’interno di una struttura dedicata al disagio psichico. I due artisti si sono trovati di fronte a un bivio: la messinscena di quelle nevrosi, dei tic visionari, delle battute da clown urbani, della comicità involontaria, come della sofferenza quotidiana, non poteva passare attraverso il consueto linguaggio.

Il dispositivo doveva necessariamente subire una piccola mutazione per poter accogliere i fantasmi di qualcun altro. In sPazzi Scappin e Vannoni si prendono il rischio di interpretare – sempre appoggiandosi su schemi a loro vicini –  anche qualcos’altro oltre alle proprie elucubrazioni. Emerge così una serie di personaggi, schierata nel solito dualismo geometrico uomo-donna, sono autori di frammenti di una quotidianità alterata, protagonisti di quella «filosofia di un sentire esasperato» con cui Quotidiana definisce la follia.

Non ci sono vie d’uscita al Chiostro S. Francesco di Chiusi dove, en plen air, in una scena vuota e dominata da forme ordinate e primarie, ha debuttato questo terzo progetto di Quotidiana.com per il 2016, in coproduzione proprio con il festival: cambi di luce, con una sorta di montaggio cinematografico, alternano le parti recitate a quelle video, come se le prime fossero delle strip di segno opposto rispetto alla razionalità espressa dalle seconde.
Non sappiamo di chi siano quelle vite, ma ci vengono offerte in sintesi velocissime: scambi spesso attivati da una comicità ovattata, in sordina come le voci microfonate. Scene che iniziano ogni volta con un un semplice e diretto saluto:

Lui: Ciao, come stai?
Lei: Male
Lui: Perché?
Lei: Voglio morire.
Lui: Quanti anni hai?
Lei: 94!
Lui: Non dovrebbe esserci molto da aspettare.

Sono piccoli deliri quotidiani, sempre un pelo sopra o sotto il livello del mare, prima di affondare; eppure la miseria, con la sua triste poesia, è tutta lì, nei piccoli gesti: nelle sigarette, accese solo nel finale, con cui viene misurato il tempo che passa prima dell’ennesimo: «Ciao, come stai?».

 

(Andrea Pocosgnich, 19 agosto 2016)

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Orizzonti Festival, Chiusi (SI) – 4 agosto 2016

 […] Follia e metodo sono le due componenti che si amalgamano in modo organico nello spettacolo dei Quotidiana.com presentato a Orizzonti (che lo co-produce), sPazzi di vita (la follia non è un refuso),  poiché è proprio questo che fa la compagnia: immergersi nella follia attraverso il metodo rigoroso del teatro e una drammaturgia che non lascia spazio a nessuna consolazione.

La follia è un mondo che ha perso i suoi colori: rimane solo il bianco e nero dei vestiti e mobiletti-ikea in serie di un non-luogo triste e conformista. In scena, incorniciati dalle arcate suggestive del Chiostro di San Francesco, aspettano Roberto Scappin e Paola Vannoni, seduti di fronte al pubblico con aria mesta e rassegnata, sovrastati da una luna piena che presto diventerà schermo a fare da intermezzo alle loro parole. 

Tutto inizia da un “Ciao, come stai?”, semplice frase e cantilena quasi ipnotica declinata in tutte le sue sfumature di dolore, emarginazione, solitudine.
Con movimenti netti e sicuri ridotti all’essenziale, Scappin e Vannoni — scambiandosi i ruoli, ora di chi chiede ora di chi risponde — si passano così battute serrate e fulminee come fossero coltelli affilati; battute riprese quasi interamente da trascrizioni di dialoghi reali di chi quel disagio psichico lo vive sulla propria pelle, materiale raccolto dalla compagnia nel corso degli anni ma utilizzato ora per la prima volta all’interno di uno spettacolo. 

I due però non  “interpretano” la follia, né la scimmiottano: riescono anzi a svincolarsi da una sua visione stereotipata, lasciando piuttosto che il corpo sia attraversato da impulsi inusuali, buffi e un po’ goffi ma sempre dotati di una loro coerenza interna.

Impulsi che sfociano in una parola cupa e inquietante, quotidiana eppure straniante, percorsa da una rabbia apatica, stemperata soltanto da un’ironia nera che però non allevia, ma al contrario accentua l’assurdità della malattia.

Folle è allora chi ha perso o non ha lavoro e affetti, chi vive di desideri soffocati, piccole abitudini e nevrosi, chi vede  scorrere giorni tutti uguali o si ribella ai canoni sociali condivisi. 
Eppure una spiegazione plausibile della follia forse si può trovare, ma solo sulla luna: quella luna piena sovrastante il palco che sembra influenzare corpi “lunatici” in perenne mutamento e contraddizione.
Come se quelle videoproiezioni, preposte a spezzare i dialoghi, fossero la controparte razionale di una folliaagita in scena e insieme illustrazione più teorica degli intenti dello spettacolo, che contribuisce a scardinare luoghi comuni e mettere in crisi certezze su un argomento ancora tabù.

Qual è il confine tra follia e normalità? o meglio, “non-follia”, verrebbe da dire?
Per i Quotidiana.com sembra molto labile, quasi impercettibile. 
sPazzi di vita riporta infatti l’attenzione sugli interstizi più quotidiani, “normali” della malattia, costruendo così un’indagine originale e tagliente che si muove alla ricerca di un (non) senso più ampio e profondo della follia — una condizione dell’esistenza presente in germe in ciascuno in modo inconsapevole.
 Il folle allora non è l’ “alieno”, il “diverso”, ma qualcuno a cui si spezza un argine in più rispetto agli altri. Ma è davvero così visibile la differenza?

 

(Sarah Curati, 5 agosto 2016)

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Il teatro a Chiusi non è una follia

[…] “Si rischia di vivere senza conoscere la follia”. Lettere, impronte, richiami di assenze presenti che Roberto Scappin e Paola Vannoni hanno ascoltato di persona da malati e disagiati mentali e poi trascritto in sPazzi di vita (la follia non è un refuso), una coproduzione Quotidiana.com e Orizzonti Festival, in prima nazionale nel chiostro di San Francesco.

Il folle è solo sé, ciò che vede noi non lo vediamo. È una statua, un sarcofago, un’urna di un tempo che non ci parla o, meglio, che non riusciamo a sentire, perché lo consideriamo morto dentro, perduto per sempre. Quotidiana.com cerca invece di dirli, i matti, rispettandone l’assenza di leggi che regolano l’ordine naturale dei discorsi, rendendo corporea la loro mente, un percorso inverso a quello di Teatro Periferico, che in Mombello – voci da dentro il manicomio rende mentale il loro corpo.

Scappin e Vannoni sono seduti su due cubi bianchi, il capo chino, come burattini recisi dal loro Io, e in mezzo a loro un tavolino, anch’esso bianco. Le luci scavano le pieghe della pelle e dei costumi, pantaloni neri, camicia bianca, vestito scuro. Gli occhi bassi, smarriti, sono cerchi bui, come il disco sospeso là sopra. La sigaretta spenta di lui, i passettini tremolanti di lei, con la chiave della camera al collo. Parlare intermittente e non agire: un rap della stanchezza della vita, della voglia di non fare niente.
“Non fingersi folli, ma sentire e osservare, dire, mettersi in relazione con l’altro senza codici e negoziazioni – spiegano – il folle vede così bene che è accecato dalla menzogna e illuminato dalle possibilità”.

Ecco, il bianco e nero di Enzo Eric Toccaceli ora è lassù, su quella Luna piena, lo schermo su cui Scappin e Vannoni in video aprono la visione degli spettatori su motivi, ragioni, problemi, sulla radiografia di sPazzi di vita.
“Ciao, come stai?” è il refrain dei loro incontri nei corridoi ospedalieri della scena, la domanda resta, la risposta cambia, e si passano storie, esistenze sincopate, il puzzo, il sesso, la felicità, la malattia, la fede. Una ciclicità incendiaria e grottesca, perché hanno un fuoco dentro, ma sono fiamme che non (li) scaldano fuori, sono gesti compiuti e subito dimenticati.

Tornati Roberto e Paola si accendono finalmente quella benedetta sigaretta, si soffiano in viso un bacio denso e fugace, lingua che sovverte la vita, il bene e il male.
E voltano le spalle a domande che continuano a rispondere, a risposte che insistono a chiedere. 
Che cosa sono le nuvole? era il cruccio dell’omonimo film di Pasolini del 1967 con attori-maschera come Totò, Ninetto Davoli, Franco e Ciccio, Laura Betti. Il fumo, diremmo adesso, di verità in fuga a cui noi associamo le forme più assurde per cercare di fermarle, trattenerle, senza, comunque, capirle. […]

 

(Matteo Brighenti, 1 settembre 2016)

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